Vivere in istituto

Chi, nonostante l’impiego di mezzi ausiliari e l’assistenza nelle cure e nelle attività abituali, non può o non desidera abitare da solo non ha altra scelta che trasferirsi in un istituto di accoglienza o di cura. Il soggiorno in un’istituzione adeguata solleva varie domande di ordine giuridico, ad alcune delle quali forniamo la risposta di seguito.


    Protezione legale particolare per le persone incapaci di discernimento

    Il passato ha insegnato che gli ospiti degli istituti di accoglienza o di cura non sempre beneficiano della necessaria protezione. Anche per chi vi entra volontariamente e in possesso della capacità di discernimento è difficile difendere sufficientemente i propri interessi nei confronti dell’istituto. Senza contare che, con il tempo, la capacità di discernimento può venire meno, ciò che rende praticamente impossibile la tutela dei propri interessi. In presenza di conflitti di interesse, nemmeno per gli istituti è sempre facile difendere gli interessi degli ospiti, soprattutto se incapaci di discernimento.

    Per tenere in debito conto le esigenze specifiche delle persone incapaci di discernimento, nel diritto di protezione degli adulti è stata inserita una serie di disposizioni a protezione di tali ospiti. Nei prossimi capitoli approfondiranno questo aspetto. Per maggiori dettagli sul concetto di capacità di discernimento e sugli altri ambiti del diritto di protezione degli adulti (p.es. mandato precauzionale, direttive del paziente, capacità di discernimento, curatele), rimandiamo allo specifico capitolo.

    Stipulazione di un contratto di soggiorno o di assistenza

    Il contratto di soggiorno o di assistenza è la base giuridica per il soggiorno in un istituto di accoglienza o di cura. Quest’atto disciplina in primis la gestione dello spazio abitativo, il vitto e l’assistenza e/o le cure. Se in un istituto di accoglienza, soprattutto per persone giovani con disabilità, è l’assistenza il fulcro dell’accordo, in un istituto di cura lo sono le prestazioni di cura.

    Un contratto di accoglienza o di cura andrebbe stipulato per iscritto. La forma scritta non è necessaria ai fini della validità del testo, ma offre certezza in merito alle prestazioni concordate e trasparenza nei confronti di familiari, rappresentanti legali e autorità.

    Esempio

    M. soffre di depressione. Con l’aiuto dello Spitex psichiatrico vive da solo per molti anni, ma il continuo aggravarsi delle sue condizioni lo induce a optare per una forma abitativa assistita. Prima di entrare in istituto, M. stipula un contratto di pensione, nel quale figurano le prestazioni in termini di alloggio, eventuale vitto e assistenza. Riceve inoltre il regolamento dell’istituto, parte integrante del contratto.

    Di norma, nel contratto è concordato un termine di disdetta di tre mesi valido per l’istituto e l’ospite, e di cui occorre tenere conto soprattutto in caso di modifiche al contratto. Ciò significa che le modifiche contrattuali, come aumenti dei costi, riduzione delle prestazioni o un cambio di stanza richiesto dall’istituto, possono essere fatte valere soltanto nel rispetto dei termini di disdetta e di eventuali scadenze concordate.

    Per le persone incapaci di discernimento, il diritto di protezione degli adulti prescrive la forma scritta per il contratto di accoglienza o di cura, nel quale devono figurare le prestazioni fornite dall'istituto e il loro prezzo. Anche in questo caso, la forma scritta non è necessaria tanto ai fini della validità del documento, quanto a quelli della trasparenza. In caso di persona incapace di discernimento, il contratto deve essere stipulato da un rappresentante.

    Il potere di rappresentanza è retto per analogia dalle disposizioni sulla rappresentanza in caso di provvedimenti medici ed è quindi assegnato a una persona specificamente designata nelle direttive del paziente o nel mandato precauzionale. In assenza di disposizioni in questo senso, hanno diritto di rappresentanza legale le seguenti persone (nell’ordine):

    • il curatore con diritto di rappresentanza in caso di provvedimenti medici;
    • il coniuge o partner registrato che vive in comunione domestica con la persona incapace di discernimento o le presta di persona regolare assistenza;
    • la persona che vive in comunione domestica con la persona incapace di discernimento e le presta di persona regolare assistenza;
    • i discendenti, se prestano di persona regolare assistenza alla persona incapace di discernimento;
    • i genitori, se prestano di persona regolare assistenza alla persona incapace di discernimento;
    • i fratelli e le sorelle, se prestano di persona regolare assistenza alla persona incapace di discernimento.

    Esempio

    F. ha una disabilità mentale e vive con i genitori. Quando questi ultimi non possono più garantirle l’assistenza di cui ha bisogno, si rende necessario il trasferimento in un istituto di accoglienza. F. è d’accordo con questa soluzione, ma non è in grado di capire tutte le disposizioni del contratto di soggiorno, il quale viene dunque firmato dai genitori, nominati insieme curatori.

    È importante sapere che gli impegni finanziari nei confronti dell’istituto devono essere coperti unicamente dal reddito e dalla sostanza della persona incapace di discernimento, non dal suo rappresentante.

    Quando può un istituto restringere la libertà di movimento?

    Tra le misure limitative della libertà di movimento rientrano in particolare soluzioni meccaniche, come il montaggio di sbarre al letto, la chiusura a chiave di porte, l’immobilizzazione e l’isolamento, ma anche provvedimenti elettronici, come porte dotate di codice, cavigliere e affini.

    Le persone capaci di discernimento possono essere sottoposte a simili misure soltanto con il loro consenso. L’istituto di accoglienza o di cura non può ad esempio chiudere a chiave la porta della camera di una persona capace di discernimento contro la sua volontà. Nella prassi può tutt’al più porsi la questione se nel caso concreto la persona sia effettivamente capace di discernimento o temporaneamente incapace di discernimento.

    Le condizioni per restringere la libertà di movimento di una persona incapace di discernimento sono disciplinate nel diritto di protezione degli adulti. L’istituto di accoglienza o di cura può restringere la libertà di movimento soltanto se misure meno incisive sono o appaiono a priori insufficienti e se la misura serve a:

    • evitare di esporre a grave pericolo la vita o l’integrità fisica della persona o di terzi; oppure a
    • eliminare un grave disturbo della convivenza in seno all’istituto.

    Spetta all’istituto decidere quando queste condizioni siano date. Per valutare se sussiste un grave pericolo per la persona o terzi dovrebbe bastare il buon senso. Ben più difficile è accertare un grave disturbo della convivenza.

    Esempio

    K. è incapace di discernimento per via di una disabilità mentale. Vive in un istituto assieme ad altre tre persone. Inquieto da giorni, una sera perde completamente il controllo e incomincia a lanciare stoviglie e posate contro gli altri ospiti. A nulla valgono i tentativi di calmarlo. In una simile situazione, la persona responsabile può intervenire e chiudere K. in camera sua.

    La legge esige che alla persona interessata venga spiegato che cosa stia per accadere, perché sia stata ordinata la misura, quale ne sia la presumibile durata e chi si prenderà cura di lei durante questo periodo. Anche in questo caso, sono fatte salve le situazioni d’urgenza. Pure la persona con diritto di rappresentanza in caso di provvedimenti medici deve essere informata. È inoltre steso verbale riguardo a ciascuna misura restrittiva della libertà di movimento. Il verbale contiene in particolare il nome di chi ha ordinato la misura, nonché lo scopo, il genere e la durata della stessa.

    Sono ammessi trattamenti farmacologici coatti?

    Secondo le circostanze, soprattutto in presenza di comportamenti problematici o di disturbi psichici, per l’istituto di accoglienza o di cura può essere importante poter ricorrere a misure farmacologiche invece che meccaniche ed elettroniche.

    Anche in questo caso, le persone capaci di discernimento possono essere sottoposte a trattamenti medici soltanto con il loro consenso. L’istituto di accoglienza o di cura non può ad esempio somministrare a una persona capace di discernimento un calmante contro la sua volontà. Pure per quanto riguarda il trattamento farmacologico coatto può porsi nella prassi la questione se nel momento concreto la persona sia ancora capace di discernimento o se sia temporaneamente incapace di discernimento.

    Poiché una somministrazione di farmaci rappresenta un provvedimento medico e soggiace alla responsabilità del medico, per le persone incapaci di discernimento trovano applicazione le disposizioni in materia del diritto di protezione degli adulti: un trattamento farmacologico coatto richiede quindi – fatte salve le situazioni d’urgenza – il consenso della persona con diritto di rappresentanza. Anche in questo caso, in prima linea è competente la persona specificamente nominata nelle direttive del paziente o in un mandato precauzionale. In assenza di disposizioni in questo senso, hanno diritto di rappresentanza legale le seguenti persone (nell’ordine):

    • il curatore con diritto di rappresentanza in caso di provvedimenti medici;
    • il coniuge o partner registrato che vive in comunione domestica con la persona incapace di discernimento o le presta di persona regolare assistenza;
    • la persona che vive in comunione domestica con la persona incapace di discernimento e le presta di persona regolare assistenza;
    • i discendenti, se prestano di persona regolare assistenza alla persona incapace di discernimento;
    • i genitori, se prestano di persona regolare assistenza alla persona incapace di discernimento;
    • i fratelli e le sorelle, se prestano di persona regolare assistenza alla persona incapace di discernimento.

    Esempio

    Dato che K. non si calma nemmeno in camera sua, la persona responsabile informa il medico dell’istituto, che in caso d’emergenza somministrerà a K. un calmante. Se la farmacoterapia dovesse protrarsi, l’istituto deve contattare il curatore di K. e chiederne il consenso. Per il trattamento farmacologico (coatto) di un disturbo psichico, possono eventualmente trovare applicazione persino le disposizioni sul ricovero a scopo di assistenza (cfr. al proposito il capitolo «Ricovero a scopo di assistenza»).

    Altre disposizioni a protezione della personalità

    Chi entra per un periodo prolungato o persino per il resto della sua vita in un istituto di accoglienza o di cura deve adeguarsi a determinate regole che fino a un certo punto limitano libertà scontate all’esterno dell’istituto. Anche all’interno di un istituto vigono però principi di protezione della libertà personale.

    Le persone capaci di discernimento hanno diritto alla sfera privata, il che comporta, oltre alla possibilità di chiudere a chiave a piacimento la porta della propria camera e di accogliervi visite, anche il diritto di gestire indisturbati la corrispondenza, il traffico telefonico e l’utilizzo di mezzi di comunicazione elettronici. Pure la libertà personale, e quindi la possibilità di poter uscire e rientrare in qualsiasi momento, deve rimanere garantita.

    La protezione della personalità di persone incapaci di discernimento soggiornanti in istituti di accoglienza o di cura è disciplinata nel diritto di protezione degli adulti. Gli istituti sono tenuti a

    • proteggere la personalità della persona incapace di discernimento e incoraggiarne per quanto possibile i contatti con persone fuori dell’istituto;
    • informare l’autorità di protezione degli adulti se nessuno fuori dell’istituto si cura della persona, affinché l’autorità possa adottare le misure atte a migliorare la situazione (p.es. istituzione di un’amministrazione di sostegno);
    • garantire in linea di principio la libera scelta del medico.

    Protezione giuridica e rimedi giuridici a disposizione degli ospiti di un istituto

    In caso di conflitto con un membro del personale, andrebbe sempre innanzitutto cercato il colloquio con il superiore. Se questo non porta a un chiarimento, l’ospite può rivolgersi alla direzione dell’istituto e poi ancora all’ultima istanza interna (p.es. Consiglio di fondazione, Comitato). Se nulla serve, si può adire l’autorità cantonale di vigilanza.

    Contro una misura restrittiva della libertà di movimento o un trattamento farmacologico coatto attuati dall’istituto di accoglienza o di cura, le persone incapaci di discernimento e le persone a loro vicine possono adire per iscritto l’autorità di protezione degli adulti del luogo in cui ha sede l’istituto. L’autorità esamina se la misura soddisfa le condizioni legali e prende una decisione, la quale può essere impugnata con reclamo davanti al giudice competente entro trenta giorni.

    Esempio

    La sorella di K. viene a sapere della somministrazione del tranquillante. Non essendo d’accordo con questo modo di procedere, scrive all’autorità di protezione degli adulti e contesta la decisione della persona responsabile e del medico dell’istituto. Dopo aver condotto colloqui di accertamento, l’autorità di protezione degli adulti giunge alla conclusione che la misura era conforme alle disposizioni di legge. Se la sorella di K. non concorda con la decisione, può presentare reclamo in tribunale.

    Basi giuridiche

    • Capacità di discernimento / esercizio dei diritti civili:
      artt. 13 – 19d CC
    • Contratto di soggiorno o di assistenza per persone incapaci di discernimento:
      art. 382 CC
    • Restrizione della libertà di movimento di persone incapaci di discernimento:
      artt. 383 – 385 CC
    • Rappresentanza di persone incapaci di discernimento in caso di provvedimenti medici (coercitivi):
      artt. 377 – 381 CC
    • Protezione della personalità: art. 5 cpv. 1 lett. e LIPIn / di persone incapaci di discernimento:
      art. 386 CC
    • Protezione giuridica – adire l’autorità di protezione degli adulti in caso di persone incapaci di discernimento:
      artt. 385 e 450 CC

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