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Esempio: Imparare a convivere con l’incertezza

«Forza Alexander! Chi arriverà per primo?» Il papà Reto W. lancia la sfida e si mette a correre. È una gara contro il tempo, ma soprattutto impari: Alexander infatti è in sedia a rotelle a causa di una malattia genetica degenerativa. Ma la sua famiglia non si lascia certo frenare da questo duro colpo del destino, anzi. 

Seguendo il motto «Niente è impossibile», Jana e Reto W. sono costantemente alla ricerca di soluzioni per integrare al meglio il figlio nella vita familiare e renderla il più possibile regolare. «Dato che la malattia di Alexander è progressiva e procede a strappi, dobbiamo affrontare sempre nuove situazioni e sfide. Quello che funzionava ieri magari non andrà più domani», riassume Jana W. 

L’atassia-teleangectasia, o sindrome di Louis-Bar, si manifesta con alterazioni cerebrali e immunodeficienza. Piccole anomalie, come dei «buchini», si diffondono nel cervelletto causando disturbi locutori e della coordinazione, nonché perdita di massa muscolare. A causa delle scarse difese immunitarie, i bambini sono soggetti a infezioni di ogni tipo e corrono un rischio più elevato di ammalarsi di cancro. 

La diagnosi grazie alla genetica 

Come spesso accade nella sindrome di Louis-Bar, i primi segnali della malattia sono stati i movimenti scoordinati di Alexander quando ha incominciato a camminare. «I primi quattordici mesi sono trascorsi senza problemi. Alexander ha seguito i consueti stadi dello sviluppo – sollevare la testa, girarsi, alzarsi in piedi», racconta la mamma. «Ma quando ha iniziato a camminare, abbiamo subito notato l’andatura barcollante.» Il pediatra inizialmente ha prescritto una fisioterapia, ma dato che il bimbo non migliorava lo ha mandato all’ospedale cantonale di Winterthur e in seguito all’ospedale pediatrico di Zurigo per esami neurologici più approfonditi, che tuttavia non hanno dato alcun esito. A quel punto, però, era chiaro a tutti che qualcosa non andasse, si trattava solo di capire che cosa. I test genetici hanno consentito infine di fare luce. «Jana aveva appena partorito Florian quando abbiamo saputo della malattia incurabile di Alexander. Ci siamo sentiti totalmente inermi», afferma il papà ricordando quel giorno di fine aprile 2018. «La voragine in cui precipiti in momenti come quelli è profonda, incredibilmente profonda», aggiunge Jana. 

Disperati, comprensibilmente i genitori hanno fatto ciò che non si dovrebbe mai fare in questi casi: consultare internet. «Abbiamo letto cose che i genitori non dovrebbero mai sapere», concordano marito e moglie. 

La coppia ha seguito due strade diverse per affrontare la diagnosi. Se Jana ha accolto le emozioni, si è disperata e ha cercato sostegno, Reto si è immerso nella letteratura specializzata. «Non volevo accettare che non si potesse fare niente contro questa malattia. Doveva per forza esserci qualcosa, qualsiasi cosa», spiega il papà. Quanto emerge dalle letture e dagli innumerevoli colloqui con medici e specialisti svizzeri e stranieri è sconfortante: «Al momento non esiste cura per Alexander. Vi sono sì studi e approcci per rallentare la malattia, ma ancora nessuna svolta. La ricerca prosegue a pieno regime, pare sia solo una questione di tempo, ma la verità è che mio figlio si è semplicemente ammalato un paio d’anni troppo presto». 

Di positivo c’era che almeno la famiglia aveva una diagnosi, e che la malattia si trova sull’elenco delle infermità congenite ed è quindi riconosciuta dall’AI. Ciò agevola i genitori a livello amministrativo e di finanziamento di terapie e mezzi ausiliari. Si trattava dunque di occuparsi della vita di tutti i giorni. «Non possiamo parlare di quotidianità», afferma Jana. «Ce n’è sempre una.» Dato che il suo sistema immunitario è debole, Alexander si ammala spesso, a volte per mesi. Dopo però seguono sempre una fase positiva e la speranza che le condizioni del bimbo restino stabili per un po’ o per lo meno non peggiorino. 

Una pausa grazie alla pandemia 

Alexander ha avuto una di queste fasi di stabilità proprio durante la pandemia di coronavirus. Le serrate, il telelavoro e l’obbligo della mascherina sono stati una benedizione per il suo sistema immunitario perché gli hanno concesso una meritata pausa da virus e agenti patogeni. «È stato il periodo migliore per la nostra famiglia. Ci siamo isolati completamente per proteggere Alexander e abbiamo trovato finalmente un po’ di pace», racconta Jana. 

La tregua è purtroppo stata interrotta bruscamente quando Alexander ha incominciato d’un colpo a russare, e pure forte. Su richiesta dell’ospedale pediatrico, Jana avrebbe dovuto fotografare la gola del bimbo e l’occasione perfetta si è presentata in piscina. «Dato che il suo stato generale era altrimenti buono, per il suo compleanno lo abbiamo portato a nuotare. Alexander ama la sensazione di assenza di peso in acqua.» Così, mentre lui si divertiva e faceva un gran baccano con la bocca spalancata, la mamma ha scattato la foto che ha poi inviato subito all’ospedale. 

Mentre la giornata di festa andava avanti in una nota catena di fast-food e il ragazzino si apprestava a divorare le patatine fritte, è squillato il telefono: la famiglia è stata convocata d’urgenza a Zurigo senza neanche il tempo di terminare il pasto. «È facile immaginare quanto fossimo preoccupati», spiega Reto. «All’ospedale pediatrico siamo stati mandati in una stanza per le consultazioni, non avevamo alcuna idea di che cosa si trattasse. Poi ho letto il nome del reparto in cui ci trovavamo: oncologia.» 

Circa un terzo dei bambini affetti dalla sindrome di Louis-Bar si ammala di cancro, in particolare di leucemia, linfoma e tumori al cervello o allo stomaco. Nel caso di Alexander si trattava di un linfoma non Hodgkin, il quale gli ha fatto gonfiare la gola e causato così il forte russamento. «Anche se la spada di Damocle del cancro pendeva su di noi da tempo, la notizia ci ha colti totalmente impreparati», afferma la mamma. 

Per il bimbo sono iniziati tempi duri con in totale quattro cicli di chemioterapia che hanno per fortuna avuto esito positivo. Il controllo successivo a dicembre 2022 non ha più mostrato alcuna cellula tumorale: Alexander è guarito dal cancro. 

Questa vittoria, tuttavia, ha avuto il suo prezzo. A causa del tempo trascorso sdraiato, infatti, il piccolo ha perso molta massa muscolare. «Da quel momento, Alexander ha dovuto iniziare a usare la sedia a rotelle», spiega Jana. «Ma lui continua a lottare. Era pure riuscito a fare qualche passo da solo, ora però non è già più possibile.» 

Il sostegno di Pro Infirmis 

Mentre i genitori raccontano, Alexander e il fratello minore Florian sono seduti al tavolo della cucina. Florian ascolta attentamente mentre gioca con i Lego, la situazione non è semplice neppure per lui. È molto legato al fratellone, è sempre al suo fianco, ma è vero che in famiglia quasi tutto ruota attorno alla malattia di Alexander. «Teniamo d’occhio Florian, siamo consapevoli che anche lui deve portare un peso enorme», confida la mamma. I mesi di chemioterapia sono stati difficili pure per lui perché almeno un genitore era costantemente al capezzale di Alexander in ospedale. Durante quel periodo, la famiglia ha fatto ricorso a un aiuto esterno: «La nostra pedagogista a Sciaffusa ci ha segnalato l’offerta di Pro Infirmis, da allora ci avvaliamo due volte la settimana del servizio di sostegno. Così è arrivata la nostra cara Simone, giusto Alexander?», chiede Reto. Per i genitori si tratta di un enorme aiuto, i bimbi apprezzano il diversivo. «Vogliono molto bene a Simone e anche noi siamo felici che sia al nostro fianco», conferma Jana. 

È il momento di tagliare la torta di carote fatta in casa. Mentre tutti ne mangiano una fetta, Alexander riceve il suo pasto anche attraverso una sonda: a Natale, infatti, ha smesso d’un tratto di mangiare, nessuno sa perché. Reto, Jana, Alexander e Florian non sanno che cosa li aspetta, ma hanno imparato a convivere con l’incertezza e a trarne il meglio. 

Alessandro con la sua famiglia.

«Simone di Pro Infirmis viene due volte la settimana. I bambini le vogliono molto bene.»

Reto W., papà di Alexander

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